OPRC – Ordine Psicologi Regione Campania

IL MATTINO – Smartphone e dipendenza. Bozzaotra: "Non e' una malattia"

Una recente ricerca promossa da «Telefono azzurro» si è concentrata sulla Generazione Z o Centennials, ossia i nati tra il 1996 e il 2010: 17 ragazzi su 100 non riescono a staccarsi da smartphone e social, uno su 4 è sempre online, il 45 per cento si connette più volte al giorno, il 78 per cento «chatta» su Whatsapp continuamente, e il 21 per cento si sveglia di notte per controllare l' arrivo di eventuali nuovi messaggi. Il bisogno di chattare è irrefrenabile per i giovanissimi che usano soprattutto WhatsApp (76 per cento), ma ultimamente è aumentato l' uso, e l' abuso, di Instagram con il 62 per cento delle preferenze, mentre Facebook è il social più usato tra gli adulti.

«Per me non si può parlare di malattia. Si corre il rischio di focalizzarsi su un risultato che nasce dal vero problema: cosa spinge un ragazzino a svegliarsi di notte per controllare i like, per esempio», precisa Antonella Bozzaotra, presidente dell' Ordine degli psicologi della Campania e responsabile dell' Unità Operativa di Psicologia Clinica della Asl Napoli 1 Centro, in un articolo de Il Mattino. «È difficile capire anche quando si va oltre continua – Chi fissa questo limite? Chi stabilisce che controllare i like sia una malattia? Sicuramente è eccessivo far dipendere il proprio umore dai like sul nostro profilo Facebook, ma va compreso perché è così importante per una persona». Secondo Bozzaotra «gli smartphone possono essere di grande aiuto, noi psicologi della Campania – evidenzia – abbiamo stabilito le linee guida per le prestazioni psicologiche erogate direttamente on line. È un mezzo per interagire con l' esterno, presente in tutte le classi sociali, quindi democratico. Tuttavia va sviluppato un uso consapevole: patologizzare qualcuno affermando sei social dipendente, cosa ci porta? A niente, perché non posso curare una persona dicendogli non andare più sui social, devo invece capire da cosa nasce questo suo impulso». Anzi spesso «definirla malattia è controproducente per il processo di consapevolezza, perché deresponsabilizza dalla propria scelta. Urge quindi comprendere che queste persone, perché vogliono questa continuo prolungamento del sé mettendo la propria vita online», precisa.

Ultimo aggiornamento

12 Giugno 2019, 00:00

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